Una donna ha l’età che merita
39. Sono 39 gli anni che compio oggi. E lo dico così, senza troppi giri di parole. Senza quella paura di invecchiare che mi contraddistingue da sempre. Io, quella senza neppure un capello bianco. Io che continuo a mettere le scarpette da danza fantasticando di fare due pirouettes di fila. Io, che qualche anno fa, ho mollato uno stipendio sicuro per mettermi ad inseguire, ancora una volta, i sogni chiusi in un cassetto. Io che ancora quei sogni li guardo e li accarezzo di continuo. Con la stessa ingenuità che avevo vent’anni fa.
In questi giorni sono capitate cose che mi hanno costretto in qualche modo a fermarmi a pensare. A pagare lo scotto della vita che scorre e che, a volte, non scorre come vorresti tu. E’ il prezzo che bisogna versare quando si ama, si respira. Si vive, insomma.
Dicono che quarant’anni rappresentino una nuova rinascita. Un nuovo modo di vedere la vita. Dicono. Per lo meno quelli che ora di anni ne hanno qualcuno in più. Io li ho sempre visti come l’ingresso nella vita adulta. Perché, si sa, fino ai 30 fai ancora parte di quella generazione che non ha capito bene dove andare e dove fermarsi. Quella generazione che ancora può permettersi qualche errore e perdonarsi facilmente. Che può delegare qualche responsabilità. Che, a volte, può dormire sino a tardi.
Quindi, a conti fatti, ho ancora un anno di tempo per rimanere nel limbo. A conti fatti ho ancora un anno di tempo per fare un po’ di bilanci e mettere mano alla borsa enorme di desideri e di progetti ancora da realizzare.
Ecco come nasce questa riflessione. Questi pensieri liberi il giorno del mio compleanno. Un giorno che amo da sempre, perché è come se rappresentasse, in qualche modo, un inizio, un punto di arrivo e un punto di partenza. Ed ecco che oggi lo voglio celebrare guardando dritto in faccia la me del passato. Come se ci trovassimo nel film di Zemeckis e al posto di Michael J. Fox ci fossi io.
Cosa voglio dire alla me del passato:
- No, non hai mai smesso di piangere per i film di amore. E neppure per Grey’s Anatomy, che ormai è arrivata alla quattordicesima stagione.
- Però hai smesso di piangere per quegli amori impossibili e incasinati che ti piacevano tanto. E questa, ti assicuro, è una grande consolazione.
- Gli amici dell’università li hai ancora. E anche qualcuno degli anni del liceo te lo sei portata appresso.
- Non porti più i tacchi alti. Se non per matrimoni e cerimonie simili. Ti spoilero anche una cosa divertente: non li hai indossati neppure il giorno del tuo matrimonio.
- Continui a scrivere. Sempre. Anzi, ne hai fatto un lavoro, come sognavi da quando eri piccola. Le poesie degli anni dell’elementari però le hai messe in un cassetto e le tiri fuori (o meglio, la tua famiglia le tira fuori) solo durante i pranzi con il parentado. Sono un momento goliardico a cui tua madre e tua sorella non rinuncerebbero mai.
- I vestiti super corti li hai lasciati nella tua vecchia casa. Ora più è lungo, più ti piace.
- I capelli ami portarli sotto le spalle e ti do anche una bella notizia: non sono più crespi e indomabili, anzi. Sono diventati l’invidia per tante.
- Hai fatto pace anche con il tuo corpo. Certo, il tuo peso è sempre altalenante. A volte ti senti goffa e impacciata, ma per la maggior parte del tempo hai imparato a conviverci e no, non sei più quella più grassa tra le tue amiche.
- New York alla fine l’hai vista. Ed era sotto la neve. Romantica e meravigliosa.
- Per il Medio – Oriente devi aspettare ancora un po’, ma in fondo, forse, prima dei quarant’anni non l’avresti neppure capito davvero.
- Ora, io te lo dico, ma non entrare in panico: non sei diventata un commissario di polizia. Ci hai provato, con tutta te stessa, ma non ce l’hai fatta. E’ vero, il rimorso, quello ce l’hai ancora.
- Hai imparato a cucinare e non prepari più torte che sembrano frisbee pronti per prendere il volo su una spiaggia assolata. Hai imparato a cucinare un po’ a Bologna, cercando di imitare le sfogline, e un po’ da tuo padre e dai manicaretti che preparava per cena.
- Tuo padre. Capitolo triste e ancora non risolto. Non c’è più da qualche anno. E no, quel senso di assenza pungente e forte non è ancora passato.
- Quello che è rimasto uguale è che continui a discutere con tua madre. Per qualsiasi cosa. Credo che faccia parte del tuo DNA e probabilmente è il vostro modo di volervi bene.
- Ci sono cose per cui non ti sei ancora perdonata. Datti tempo.
- A dispetto di quello che hai sempre pensato, non giri il mondo per il lavoro, né vivi con una valigia sempre pronta sotto il letto. Hai deciso di fermarti nella tua Cagliari e pure di sposarti. Non sei diventata la zia vagabonda e in carriera che portava regali ai nipoti da mille città diverse, ecco.
- Hai cambiato mille case. Hai vissuto da sola. Ma la paura del buio c’è ancora.
- Hai smesso di rimanere sino all’alba in discoteca. Anzi, ad essere sincera, troppa gente intorno ti mette l’ansia.
- Ora dici tutto quello pensi e non te ne vergogni. Anzi, spesso lo dici in modo troppo forte, alzando la voce. Colpa forse di tutti quegli anni passati a far finta di pensare le stesse cose che pensavano gli altri.
- Non riesci a dire di no. Questa cosa qui ti è rimasta. Ma è peggiorata. Perché a volte lo fai con la rabbia nel cuore. Ahi!
- Riesci però ancora a perdonare. Se ne vale la pena.
Piccoli pezzi sparsi di vita vissuta, che voglio immortalare oggi. Perché ricordare è bello e lo è ancora di più guardarsi indietro e vedere come si è arrivati fino a qui. Passo dopo passo. E, brindo alla mia e quindi, buon compleanno a me. Ci vediamo l’anno prossimo per salutare questi famigerati “anta”. E con un valanga di desideri da trasformare in realtà.
