“Una passione che dura tutta la vita è un privilegio, indipendentemente dal prezzo che ci chiede.”
Sveglia alle 7. Colazione quasi forzata che la corretta scienza alimentare prevede che il mio corpo ingerisca cibo di primo mattino. Doccia. Veloce, che ho quasi sempre freddo a quell’ora. Anche se è luglio. Anche se la temperatura dell’acqua sfiora sempre i cinquanta gradi. Armadio aperto e vestiti che volano sul letto. E poi finisco per mettere sempre i soliti pantaloni e la solita maglia. Cinque giorni alla settimana che scorrono così. Veloci e uguali in una routine che sembra non volersi spezzare. Poi, arriva lei, la signora Domenica, che, se non ci sono di mezzo quei millequattrocentoventicinque impegni familiari o amicali, è lì. Tutta per me, il mio divano e il mio fare niente. Qualche settimana fa mi sono messa a sognare ad occhi aperti quel momento in cui sarebbe arrivata la domenica perfetta. Quella in cui decidere di rimanere immobile a gustarmi sonnellini e pensieri. Ho programmato tutto. Finisco quel libro, che mi mancano solo alcune pagine, e magari riesco anche ad iniziare il prossimo. Scollego tutti i cavi che mi collegano al mondo e lascio intatti solo quelli di Netflix. Il film l’avevo già scelto: Fame, la versione moderna e rivisitata della mia serie preferita da sempre. E di quella canzone, che mi fa battere i piedi a tempo di musica ogni volta che la ascolto.
E’ stato un attimo. Solo un attimo che mi ha portato in un batter d’occhio a disegnare la mia domenica e, allo stesso tempo, mi ha trascinato nel mio universo, fatto di unicorni e tanti altri sogni. Davanti allo schermo, davanti a calzamaglie e ragazzi che improvvisavano uno spettacolo nella mensa della scuola, mi sono fermata a pensare a questo momento della mia vita. E’ da poco più di un anno, infatti, che ho ripreso in mano passione e scarpette da danza. Ho deciso di ricominciare esattamente là, dove i miei sogni si erano spezzati. Tra doveri, studio, lavoro e tante altre piccole incombenze quotidiane. In mezzo c’era anche la mia coscienza, la parte seria, che mi sussurrava che ormai non avevo più l’età. Mi sono messa a trovare sostituti, che mi impedissero di pensare alla danza e che mi tenessero occupata tra una sudata e l’altra. Anni di sala pesi, di zumba, di step e di tutti quegli altri corsi che si possono trovare in palestra. Mi sono messa anche un costume da bagno e ho provato a muovervi a tempo di musica con l’acquagym. Ma niente, alla fine sono ritornata all’amore iniziale. A quella passione che mi divora la vita. Da sempre.
E’ questo che mi ha fatto riflettere e pensare. Monica qualche tempo fa mi ha chiesto se mi fossi pentita della mia scelta. Se, tornando indietro, non avessi voglia di più tempo per me. Di più tempo per rilassarmi, per leggere o, semplicemente, per stare con il naso all’insù a non far niente. La danza occupa i lunedì, i martedì, i giovedì e a volte i mercoledì e i weekend. A volte significa stare 5 ore a ripetere gli stessi passi e sentire gli attacchi. E, quasi sempre, comporta rinunce. Non posso venire a quella cena, non posso fare quell’aperitivo. Oppure significa correre per stare dietro a tutto il resto. Casa, famiglia, amore e lavoro. Significa ascoltare le tue amiche che si lamentano, perché non ci sei mai. O tua sorella che vorrebbe fare quel viaggio, ma non si può, perché ci sono le prove. Significa essere terrorizzati dall’influenza, che ti farà stare indietro e poi dovrai recuperare tutto con il doppio della fatica.
Durante il mio ultimo viaggio a Bruxelles, ben una settimana lontana da casa, ho capito che non sarei potuta rimanere ferma per così tanto tempo. Ho cercato. Ho chiesto. E ho trovato. Perché sapevo che sarebbe stata un’esperienza indimenticabile provare a calpestare un parquet diverso dal mio e sentire la maestra nella lingua originaria della danza, tra un piqué e un allongé. E’ così è stato. Ho scelto la mia lezione, così diversa da quelle che normalmente seguo nella mia città, e ho varcato la soglia di Yantra Bruxelles, emozionata come una bambina. Quasi spaventata.
All’interno, una meraviglia di colori e di respiri, che riempivano un’atmosfera carica, ma allo stesso tempo leggera. Mi sono aggirata tra le sale, osservando in punta di piedi i movimenti dei ballerini mentre allungavano i muscoli o ripetevano a memoria gli ultimi passi imparati. Ed erano tanti quei ballerini provenienti da ogni parte del mondo, che, per qualche istante, ho provato ad immaginare come sarebbe stata la mia vita se avessi fatto scelte diverse. Più in linea con il mio cuore.
E’ andata diversamente, ma l’emozione rimane sempre la stessa.
E’ quel brivido che sento nella mia schiena ogni volta che entro in sala. Ogni volta che assisto ad una coreografia che vorrei imparare anche io. E’ l’ispirazione che sento anche adesso che sto scrivendo. Come se una musa mi dettasse le parole di una lettera d’amore. Scritta con parole che raccontano la forza e la passione. Quell’amore sudato, desiderato e cercato. Quello di cui non puoi fare a meno. Quello che ti ossessiona in ogni momento della giornata. Che ti costringe ad essere una persona diversa. Migliore. Che ti porta a sfidare i limiti per superarli. Quello che non importa cosa tu stia facendo in quel momento. Se lui chiama, tu rispondi.
Questa è la mia personale dichiarazione romantica alla danza e a quello che rappresenta per me. Con i suoi sacrifici e l’adrenalina prima di entrare in scena. Con le rinunce e con il prendermela con me stessa tutte le volte che non riesco ad imprimere una sequenza nella mia testa e non sono in grado di fare un movimento. Con la responsabilità che ti entra nella pelle, perché la buona riuscita di uno spettacolo dipende anche da me. Con l’imbarazzo di vedere il mio corpo che si muove. Che comunica. Che accarezza le note. Che vibra.
Questa è la mia personale dichiarazione alla danza, perché la danza è la mia passione e queste righe parlano di passione. Di quella vissuta e di quella desiderata.
Ora, però, è il vostro turno. Mi piacerebbe ricevere le storie della vostra di passione. Leggerle e ritrovarci dentro il fuoco e l’anima. Anche se magari di anni ne avete aspettato sessanta prima di trovare il coraggio di viverla. Le volete condividere con me?