“Prima regola con le donne con il ciclo: non nominare mai il ciclo. Puoi solo girarci intorno. Una donna fa tutto il possibile per nascondere il mostro che diventa in quei giorni, ma se lo nomini, allora fai uscire fuori il mostro.”
Ho il ciclo.
Ho le mie cose.
Sono indisposta.
Ho le rosse.
Ho il marchese.
Ho il barone rosso.
Tanti modi per chiamare una cosa sola: le mestruazioni.
Ciao, mi chiamo Giulia e all’età di undici anni ho avuto le mie prime mestruazioni. No, non vi dirò che sono diventata signorina. Anche quello è un termine che disprezzo. Perché poi di signorina, all’epoca, non avevo proprio un bel niente. Ero semplicemente una bambina, impaurita e goffa, con un seno già preminente, che una volta al mese doveva usare gli assorbimenti.
Si dice che ogni donna ricordi per sempre il suo primo bacio. Beh, io quello l’ho dimenticato, ma in compenso ricordo bene quando le mestruazioni sono entrate nella mia vita. E non mentite, lo ricordate alla perfezione anche voi. Quel giorno dormivo ancora, mi sono svegliata per prepararmi per la scuola e il mio corpo era cambiato. Così, in un attimo. No, non ci sono state chiamate a tutto il parentado per celebrare l’arrivo della rugiada. A quei tempi le mestruazioni erano un fatto privato. E le mamme pancine non erano ancora arrivate… O al massimo si nascondevano bene tra le gente comune. Mia zia e mia madre mi avevano dato un assorbente e spiegato come posizionalo nei miei slip. Io, testarda e negazionista, avevo ignorato ogni consiglio e andai a scuola senza un bel niente addosso. Il risultato fu che dopo due ore al massimo di lezione chiamai a casa per farmi venire a prendere, triste e vergognosa per la mia situazione.
Perché così le abbiamo sempre vissute le mestruazioni. Con vergogna e timore di “essere scoperte”. Con gli assorbenti nascosti nei taschini dei jeans o nelle maniche dei maglioni. Le richieste d’aiuto sussurrate alle amiche, per non farsi sentire dai maschi. I pacchi messi nel nastro alle casse dei supermercati sperando che quello in fila dietro di noi non sbirciasse. E le volte in cui quel ragazzo fighissimo volevo vederci e noi speravamo che il giorno dell’appuntamento non coincidesse con “quei giorni lì” del calendario.
Ci siamo passate tutte. Questa è la triste realtà. Inesorabile ed innegabile. Anche solo il chiamarle per nome, le mestruazioni, ci ha sempre provocato una sorta di disagio latente. Io provo a dire questa parola a voce alta ogni volta che posso, anche quando sono alla conduzione del mio programma radiofonico (e vi assicuro che qualche volte c’è stato chi si è scandalizzato). Perché le mestruazioni sono sporche e peccaminose. E noi, che le abbiamo, con loro.
Dalla cultura alla società. C’è chi dice che durante il ciclo non possiamo toccare le piante o cucinare. Qualche anno fa ci u uno chef (di cui ho volutamente dimenticato il nome) che disse che nella sua cucina c’è il divieto assoluto di far entrare donne con le mestruazioni in corso. E senza andare a scomodare esempi recenti e folli, anche in letteratura le cose non sono mai andate diversamente. Anna Karenina non ha mai le mestruazioni e non le ha mai neppure Emma Bovary. Le ha ha solo Margherita, la famosa Signora delle camelie. Era una prostituta… Devo continuare?
Sì, continuo. Perché ci sono Paesi nel mondo in cui avere le mestruazioni è quasi un delitto da punire. In Nepal è stata approvata nel 2017 una legge che punisce la pratica millenaria del chhaupadi. Cos’è? La reclusione, per i giorni del ciclo, delle donne con le mestruzioni in capanne lontane da tutto, in cui possono mangiare solo riso e lenticchie, coprirsi con una misera coperta di juta, e sì, rischiano la vita sole e sperdute nella foresta.
Eppure, se andiamo a guardare bene, non c’è niente di volgare o mostruoso nelle mestruazioni. Partiamo dalle parole. Dalle definizioni. Il termine “mestruazione” deriva dal latino e significa mensilità. Il fatto che sia stato adottato nella sua forma al plurale va semplicemente ad indicarne l’andamento ciclico e ricorrente. E sul dizionario della Treccani leggiamo la seguente definizione:
1. Fenomeno ciclico, tipico delle femmine dei mammiferi placentali, che consiste nella fuoriuscita periodica di sangue misto a secrezioni e frammenti della mucosa uterina e che si verifica quando l’uovo non sia stato fecondato e non si sia impiantato nell’utero: è legato al ciclo ormonale dell’estro e ha luogo durante l’intero arco del periodo riproduttivo dell’individuo; nella specie umana ha inizio con il menarca (prima mestruazione) e termina con la menopausa.
Tutto normale quindi. Per lo meno a me pare così. Nulla di illegale, mostruoso, paranormale o magico. Perché ne sto parlando oggi? Perché oggi è la Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne. E negare le mestruazioni, costringerci ad esserne imbarazzate o dover subire delle vessazioni per il solo fatto di essere in età fertile, beh, lasciatemelo dire, è una violenza bella e buona.
Fortunatamente, credo, le cose stanno un po’ cambiando. E persino Pantone, il re assoluto dei colori, ha voluto gridare a voce alta la parola mestruazioni, attraverso il suo Period, il nuovo colore rosso mestruazioni, appunto.


In realtà esiste anche una giornata dedicata, Mestrual Hygiene Day ,e viene celebrata ogni anno, dal 2014, il 28 maggio. Buffo, visto che quella è la data in cui ho fatto la mia prima comunione e sono stata resa degna di prendere il corpo di Cristo... Io che sono pure atea (anche quello di giorno me lo ricordo bene).
Ecco, questo per dirvi che, in questa ricorrenza, così importante e fiera, in questa giornata in cui il rosso lo dobbiamo evidenziare perché rappresenta il nostro sangue, quello che ci strappa la vita e non quello che invece sottolinea il nostro essere donne, dobbiamo gridarla a gran voce questa parola: mestruazioni. E no, non mi riferisco agli uomini, non solo per lo meno. Ma soprattutto a noi donne, che ancora troppo spesso la pronunciamo piano. Per non essere sentite. Per non nascondere quello che siamo. Semplicemente e meravigliosamente donne.