La tradizione non consiste nel mantenere le ceneri ma nel mantenere viva una fiamma.
Le ricorrenze. Le feste. Quelle comandate. Quelle sentite. Non riesco a catalogare bene quella della mamma. Forse perché mamma non sono. Anche se alla mia gli auguri li faccio. E così mi comporto con tutte le mie amiche. E’ un argomento che ho affrontato più volte, questo della festa della mamma. Da un punto di vista riflessivo, più che altro.
Quest’anno ho deciso di cambiare rotta. Di vedere il tutto da un punto di vista iper femminile. E’ la mamma intesa come donna che voglio celebrare. Perché troppo spesso i ruoli si dividono, fino a distaccarsi tanto l’uno dall’altro, da diventare due strade che non si intersecano mai. Come due numeri primi. No, non per loro, le mamme, che donne si sentono fino all’osso. Giustamente. Ma negli sguardi degli altri. E’ lì che a volte si costruiscono i confini. Quasi come se non potessero esistere le due cose insieme. E invece no. Io le voglio festeggiare queste donne. E lo voglio fare attraverso la tradizione.
Qualche tempo fa vi abbiamo raccontato la nostra. O meglio, quella che più di tutte rappresenta la nostra bella terra. La tradizione di S. Efisio, un rito che si compie da trecentosessantatré anni. Immutato e meraviglioso.
Io ho cominciato a seguire questa festa da pochissimo. Da quando ho iniziato a scrivere tra le pagine di questo blog. Da allora mi sono innamorata di queste suggestive giornate intrise di passato e di storia. E mi sono persa nella bellezza delle donne con gli abiti tipici della nostra cultura. Un tuffo indietro negli anni. Un’atmosfera talmente magica da lasciare senza fiato.
E quella di quest’anno, di tradizione, ha segnato un passo quasi epocale. Con una donna a capo di tutto. L’elemento più importante, quello su cui gli occhi erano posati, quello che rappresentava l’autorità, è stato declinato al femminile. Per la prima, dopo più di tre secoli di usanze non scritte.
Loro, le donne di Sardegna. Così fiere. Così eleganti. Così seducenti e seduttive. Così forti. Dallo sguardo sicuro. Nobile, anche quando indossano i panni delle contadine. Loro, che camminano sotto il sole, con scarpe scomode e vestiti pesanti. Che aspettano in silenzio e sorridono. Che pregano. Che si scattano una foto quando nessuno le può vedere. Per ricordare il momento. Per non lasciarselo sfuggire. Loro che giocano sulle traccas, quasi fossero all’interno di un racconto antico. Che stringono la mano agli uomini che hanno accanto. Che portano in braccio i bambini stanchi e annoiati. Loro, le donne di Sardegna. Con le storie. Le loro vite, tutte diverse o forse tutte uguali, che per qualche giorno abbandonano tutto per buttarsi in un mondo diverso e meno frettoloso.
E’ di queste donne che voglio parlarvi oggi. Ve le voglio mostrare e cercare di farvele vedere con i miei occhi. Quelli emozionati di una semplice spettatrice, che spera in qualche modo di somigliare alla stirpe della sua gente.
Vi voglio mostrare le loro mani, ingioiellate e curate. Che custodiscono petali di rosa e dolci. Mani che lavorano. Che scrivono. Che accarezzano. Che studiano. Che stringono.
Volti, che a tratti sembrano impenetrabili, così immersi in quel ruolo da vivere per un giorno intero. Volti che giocano una parte, come a teatro. Che forse tanto parte non è. La vedo più come un rivivere la testimonianza di quello che eravamo. Una rievocazione dell’identità che ci siamo portati dietro e di cui andiamo tanto orgogliosi.
Le ho guardate tutte. Una per una. Le ho fissate negli occhi e le ho ringraziate per ogni scatto e per ogni posa. Dietro la mia macchina fotografica, ho visto mamme e donne. Donne che hanno scelto di esserlo, mamme. Donne che non lo hanno potuto essere e donne che non lo hanno voluto. Ho visto impiegate, insegnanti, panettiere, commesse, direttrici di aziende, studentesse, medici, avvocati e disoccupate. Ho visto mogli, amanti disperate. Ho visto donne che volevano correre da sole. Innamorate felici. Ho visto nonne che si fanno in quattro per accudire i nipoti. Ho visto sorelle. Ho visto piccole donne in erba, orgogliose di assaporare il mondo degli adulti, anche se solo per poche ore. Ho visto il meraviglioso universo che si cela dietro ad ognuna di noi.
E’ vero. Forse una ricorrenza non servirà a molto. Non servirà la festa della mamma e neppure la festa della donna a cambiare le cose. A ricordarci quello che facciamo e le cose per cui lottiamo. No, non servirà a celebrare il nostro ruolo. O i nostri ruoli, per essere più precisi. Ma in un momento, come quello che stiamo vivendo, metterci al centro del mondo è un segno importante. E non per un singolo giorno. Sembrerò sciocca e illusa, ma sento dentro che il vento sta lentamente cambiando. Perché siamo noi, in prima persona, che lo vogliamo cambiare. E allora avremo bisogno di tutte le nostre forze e di avere al nostro fianco uomini intelligenti e acuti. Avremo bisogno di crederci. Fino in fondo. Al di là degli stereotipi che ci hanno voluto cucire addosso o che, troppo spesso, ci cuciamo da sole. Al di là di quello che pensano gli altri o di come ci vorrebbero.
Buona festa della mamma a tutte. A chi lo è in senso biologico e anche a chi lo è in senso affettivo. A chi non ha la propensione a diventarlo e a chi non ci è riuscita. Buona festa della mamma alle bambine di oggi. Insomma, a tutte. Ma, soprattutto, buona vita. Che a nascere donna siamo state fortunate.