La vera ricchezza è, tra le mani, un velo arancione di pistilli di zafferano
C’erano degli appuntamenti fissi a casa mia. Ed erano quelli che più o meno arrivavano verso l’ora di cena. Io, intenta a studiare, a lavorare o ad andare in palestra. Mia madre, con le sue parole crociate in grembo e la matita febbrile di parole da incastrare. E poi lui, mio padre. Verso le cinque del pomeriggio si alzava dalla sua poltrona e si portava di fronte ai fornelli. È buffo, a casa mia non si è mai seguito la strana regola del i carboidrati a pranzo e a cena le proteine. A noi non è mai importato particolarmente se dispettosi centimetri di grasso decidessero di depositarsi sui nostri fianchi durante le ore notturne. A noi importava sederci a tavola di fronte ad un piatto di pasta fumante.
Perché era la pasta il divertimento pomeridiano di mio padre. E di solito si trattava di spaghetti, ma molto più spesso di gnocchetti. Di malloreddus, per dirla come va detta, alla sarda, alla moda di casa. Credo che il fascino lui lo sentisse legato ai sughi che amava preparare. Con lentezza, con la devozione di un uomo che attende senza fretta che il fuoco, una padella calda e gli ingredienti si uniscano in una danza magica. Perché era una magia e quei profumi me li porto dietro come un ricordo indelebile attaccato all’animo.
Mio padre amava, oltre ogni cosa, un ingrediente in particolare, una spezia: lo zafferano, il nostro oro, l’oro rosso di Sardegna. Non c’era piatto che non ne assorbisse il particolare odoro e quel colore acceso che riscaldava anche il più anonimo sugo di pomodoro fresco.
Se sono i profumi a tenere insieme i ricordi e le sensazioni, allora io allo zafferano devo moltissimo.



Qualche tempo fa mi sono trovata con dei bulbi di zafferano tra le mani e ci ho provato a coltivarlo nella mia assolata terrazza di città. I fiori sono nati, belli, forti e robusti come li avevo immaginati. Ma i pistilli, che avrei dovuto trasformare in questa spezia preziosa, non erano pronti per essere lavorati dalla mia inesperienza.
Per lo zafferano ci vuole pazienza, amore e una quantità pressoché infinita di ore di lavoro. Francesca lo sa bene. Come lo sanno bene anche suo padre Giorgio e suo fratello Marco. Insieme si dedicano a questa particolare coltivazione in un terreno nel territorio di San Sperate. Siamo vicini a Cagliari, a pochi passi dall’accalcarsi delle macchine e al brulicare incessante di persone in giro per le strade. Vicini ai palazzi che si rincorrono alti e alla vita che sembra andare così di fretta da non lasciare spazio per nient’altro se non per una stupida frenesia.



Francesca mi ha descritto timidamente il suo mondo a San Sperate. Un giorno sogna di vivere lì, in una bella casa in campagna con una grande cucina e tanto spazio per pentole e mestoli.
Io l’ho immaginata la sua casa e la sua vita. Una sorta di sogno bucolico, all’ombra di piante alte e fitte, con la sveglia presto all’alba, gli ortaggi maturi in estate, gli alberi di arancio e le fila di fichi d’india. E più o meno non ci sono andata lontano, perché in questo luogo così caro a Francesca gli elementi di un paesaggio bucolico ci sono tutti.
Ci sono le melanzane, le zucchine. I peperoncini, i carciofi. Ci sono i cavoli, le susine, i broccoli, i legumi.
E ci sono anche gli animali. Due asini, Carlo e Camilla, le capre tibetane, i cani, un’oca e le galline.
E ovviamente c’è lui, lo zafferano, il vero protagonista indiscusso di questa storia. Io Francesca l’ho subissata di domande. Trovo davvero curioso il metodo di coltivazione e di raccolta dello zafferano. È un qualcosa che richiede attenzione e cure continue. Ora siamo nel momento perfetto per la sua raccolta, tra ottobre e novembre. Lo zafferano ha bisogno di acqua, ricalca un po’ quelle che sono le caratteristiche di ogni essere vivente. Acqua, amore e di tanto in tanto qualche viaggetto alla scoperta di sé. Sì, perché i bulbi, ogni quattro anni vanno spostati per far sì che crescano sempre al meglio della loro bellezza.
Per prima cosa, dovete sapere che la raccolta dei fiori dovrebbe avvenire tendenzialmente nelle prime ore dell’alba. Già qui si intravede la fatica necessaria per ottenere questa spezia così preziosa e versatile.
Il secondo passo è quello di ricavare i pistilli, appena il fiore si è schiuso, e di farli essiccare in forno a bassa temperatura per circa dieci o quindici minuti. Sembra facile, eh? Se riuscite ad arrivare fin qui, allora siete a metà strada. Bravi! Potete conservare i vostri pistilli di zafferano, rigorosamente in un vasetto di vetro, e utilizzarli al momento giusto per insaporire qualsiasi, e dico qualsiasi, vostra pietanza. Francesca mi ha consigliato di sistemare i pistilli in mezzo a due piccoli fogli di carta forno e di tritarli: in questo modo non se ne sprecherà neppure un milligrammo.
Ora siete davvero pronti per dar sfogo alla fantasia. Perché solo in questo modo otterrete l’effetto desiderato: quello di sprigionare il profumo intenso dello zafferano e diventare suoi complici di gusto. E sappiate che lo potrete abbinare davvero con tutto. Con i dolci, come facciamo qui con le nostre pardulas. Con i primi piatti. Con il pesce. Con altre spezie, come fanno in Oriente. O con l’alcol, per creare un delizioso liquore allo zafferano che ci sta sempre bene a fine pasto.
Quali sono le vostre ricette a base di zafferano? Raccontatemele! Voglio riempire i miei taccuini con le vostre idee.
E bello ritrovare in i questo racconto, persone care, che nel loro tempo libero si dedicano con passione ad una antica tradizione. Ancor di più quando il fotografo è una persona che ti è vicina e porta avanti la sua passione ed amore per la sua terra natia.
Un grandissimo complimento a tutti ed un augurio di proseguimento del vostro lavoro con la passione qui narrata con maestria dalla narratrice.
Bellissime le sue parole. Grazie davvero e grazie ancora a Roberto per averci permesso di dar voce ai suoi scatti.